Un cadavere sul tappeto, la macchia di sangue che si allarga, l’impugnatura di un coltello che spunta dal torace. Si tratta (molto probabilmente) di un omicidio. Se poi, al termine delle indagini, si dovesse scoprire che è stato solo un incidente, perché la vittima stava smontando un pezzo di lampadario, era salita sul tavolo, usava un coltello al posto del cacciavite, e a quel punto è scivolato conficcandosi la lama nel petto, poco importa, in quanto comunque le indagini ci sono state.
Esistono casi invece nei quali nemmeno si comincia a investigare, o quasi, e allora nessuno saprà mai se la morte è stata causata da un malore, da un incidente, da un gesto autolesionistico, oppure se si è trattato di un delitto. Esistono casi perciò nei quali un omicidio rischia di passare indisturbato fra le maglie del sistema investigativo.
Suicidi
Nell’Inghilterra vittoriana si sapeva, riguardo a indagini e scienza, molto meno di ciò che si conosce oggi, e forse questa “ignoranza” portava con sé qualche vantaggio. Ad esempio, tutte le morti, nessuna esclusa, erano oggetto di un’analisi collegiale finalizzata a stabilirne la causa. La decisione spettava a un Giudice, che si avvaleva dell’aiuto di un medico e di un investigatore di Scotland Yard. Tra l’altro pare che Charles Dickens, in cerca di ispirazione, ogni tanto accompagnasse un suo amico di Scotland Yard, l’ispettore Field, durante i servizi di polizia; e a quel suo amico sarebbe ispirato il personaggio dell’ispettore Bucket in Casa desolata (1852).
Oggi in Italia la maggior parte delle Procure della Repubblica (che è dove i PM svolgono le indagini) hanno emanato circolari nelle quali si invitano le forze di polizia, e i singoli magistrati preposti alle indagini, a trattare i casi di suicidio alla stregua di omicidi, e pertanto a sviluppare le investigazioni in modo approfondito. Ma nella pratica ciò avviene di rado, perché tutti i soggetti coinvolti nelle indagini, di fronte a un probabile suicidio, sono assuefatti a dare troppo per scontato: le pattuglie che intervengono per prime, la scientifica, il medico legale, gli investigatori, il PM, tutti si adagiano spesso sulle posizioni più scontate.
Capita così che non venga disposta l’autopsia, che i tabulati telefonici non siano analizzati o nemmeno richiesti, che la vita del defunto nei giorni precedenti al decesso non sia ricostruita a dovere, che non venga sequestrato il luogo di ritrovamento del cadavere, e così via. Questo crea due problematiche opposte e speculari, entrambe negative.
Nel caso si tratti di un vero suicidio, le indagini raffazzonate lasciano i parenti nel dubbio, alimentano teorie difficili a quel punto da smontare, trascinano il dolore dei sopravvissuti per anni perché impediscono un lutto sereno e consapevole.
Nel caso invece che il suicidio sia stato simulato, allontanano a volte per sempre il colpevole dalla sua giusta punizione. Ogni istante perso infatti, soprattutto in un caso di omicidio, rende la soluzione del caso più difficile.
Durante il Festival di Sanremo del ’67, Luigi Tenco decise di togliersi la vita. Esistono molte teorie del complotto a riguardo, e di certo le modalità di intervento della polizia hanno contribuito ad alimentarne la maggior parte. Infatti il cadavere venne rimosso dal luogo del ritrovamento prima che la scientifica fotografasse la scena, e si pensò ingenuamente che la soluzione migliore fosse di riposizionare il corpo, per scattare le fotografie. Ma, ovviamente, dalle immagini si notano molti dettagli che non tornano.
Billie Grace Ward, CC BY 2.0
Scomparse di persona
Un discorso analogo vale anche per le scomparse di persona per le quali, fino a pochi anni fa, non esisteva alcuna normativa. Un luogo comune è quello del maresciallo dei carabinieri, o dell’ispettore di polizia, che si rifiutano di prendere una denuncia di scomparsa perché non sono passate 24, 48, 96 ore.
In realtà non c’è mai stato (e non c’è) un tempo minimo richiesto per denunciare una scomparsa: sono le circostanze e le modalità del fatto che determinano l’urgenza delle ricerche. Un minorenne che ha la tendenza ad allontanarsi di casa o un adulto dalle abitudini di vita irregolari, non destano allarme in maniera immediata come invece dovrebbe accadere qualora una donna, tormentata da uno stalker, svanisca durante il tragitto casa-lavoro. Ma anche questa “classificazione” rischia di essere ingannevole, perché ogni scomparsa può nascondere un delitto e andrebbe investigata con pieno rigore.
Quando un soggetto sparisce definitivamente, e il corpo non viene ritrovato, il sospetto che dietro alla scomparsa si celi un delitto è più che legittimo. Fra le tante leggende metropolitane che circolano c’è quella secondo cui non si potrebbe condannare per omicidio qualcuno senza il ritrovamento cadavere. Non è vero e ci sono stati casi sia in relazione a omicidi di natura mafiosa (la cosiddetta lupara bianca), e quindi emersi dalle dichiarazioni di pentiti, sia per casi di “semplice” cronaca nera. Bisogna dire però che, benché non esista nessuna preclusione di legge o di prassi, anche i giudici sono esseri umani, e basta il dubbio che una vittima di omicidio sia viva (solo a dirlo mette i brividi) per rendere (giustamente) difficile una condanna.
Decessi in casa o in ospedale
Secondo la legge italiana, quando una persona per qualunque motivo muore sulla pubblica via, o in un luogo pubblico a aperto al pubblico (bar, biblioteca, etc.), deve intervenire la pubblica autorità, e quindi le forze dell’ordine, che notiziano il PM. Ben diverso è il caso in cui qualcuno muoia in una privata abitazione. In quel caso infatti basta la presenza del medico di famiglia, o di quello giunto dell’ambulanza, che certifichi il decesso. Se la morte è di natura violenta, o evidentemente collegata a un reato, il medico chiamerà subito la polizia. ma negli altri casi, qualora non ravvisi sospetti (e non è il suo lavoro averne, è solo un medico, non un investigatore), allora non interverranno né la polizia, né il medico legale, né il PM.
Anche quando il decesso avviene in ospedale il dubbio sulla morte può essere manifestato solo dai medici curanti, che di lavoro curano e non indagano, o dai parenti della vittima. In ogni altro caso, polizia e PM non saranno chiamati a investigare.
Solitamente il decesso di una persona sottoposta a cure mediche è vagliato attentamente, e per dubbi di natura medica si procede a una dissezione del cadavere che presenta alcune differenze rispetto all’autopsia disposta dall’autorità giudiziaria (ad esempio è richiesto espressamente di evitare mutilazioni e dissezioni non necessarie). Ma questo tipo di morti non viene però vagliata da professionisti delle indagini, e questo è uno dei motivi per i quali sono così tanti i cosiddetti angeli della morte, infermieri o medici che uccidono di proposito i loro pazienti, di solito con iniezioni di medicinali o veleni.
Rinvenimento di ossa
Lo specialista di cadaveri è il medico legale. Questo è ciò che la cultura scientifica e giuridica del nostro paese ha portato avanti per almeno gli ultimi duecento anni. Ma la medicina legale è pur sempre una branca della medicina e il suo campo di azione sono perciò le ferite, i tessuti, i muscoli, la cute e tutto ciò che viene danneggiato durante un evento lesivo.
Ma quando il corpo viene rinvenuto in avanzato stato di decomposizione, magari completamente scheletrificato, il medico legale ha ben pochi strumenti per dedurre, dalle sole ossa, quanto è avvenuto. Per fortuna nel secondo dopoguerra, principalmente nel mondo anglosassone, si è pensato di applicare alle indagini criminali più o meno ogni tipo di conoscenza, tra cui anche l’antropologia. Utilizzando gli stessi metodi coi quali si studiano i resti ossei delle antiche civiltà, l’antropologia forense cerca di dedurre, dai resti ossei delle vittime di delitti recenti, informazioni utili alle indagini e al processo. Dalla scalfitura di una costola si può risalire all’uso di un coltello, dalla rottura di un polso si può ipotizzare un sequestro di persona.
Genevieve, CC BY 2.0
La medicina legale è ben rappresentata nella letteratura e sullo schermo, a cominciare dal dottor John Evelyn Thorndyke, personaggio letterario inventato nel 1907 da Richard Austin Freeman e protagonista di più di venti romanzi (editi in Italia da Polillo e da Newton Compton), per proseguire con Quincy, protagonista dell’omonima serie TV (1978-1986), e passando anche dal personaggio letterario Kay Scarpetta, creato nel 1990 da Patricia Cornwell (romanzi editi in Italia da Mondadori). Kay Scarpetta è stata poi il modello sul quale Katy Reichs, antropologa forense nella vita, ha modellato Temperance Brennan, protagonista di ben 20 romanzi, dal 1997 ad oggi (Rizzoli), e di 12 stagioni della serie TV Bones. La dottoressa Brennan risolve i crimini proprio grazie allo studio delle ossa coi metodi dell’antropologia forense.
Anche la professoressa Cristina Cattaneo, docente di medicina legale e antropologia, nonché direttore del Labanof (Laboratorio di Antropologia e Odontologia Forense dell’Università degli Studi di Milano), ha scritto numerosi libri, saggi però, nei quali ha evidenziato spesso il ruolo fondamentale dell’antropologia forense nell’identificazione dei cadaveri, destinati altrimenti a restare senza nome (come in Morti senza nome, 2005 Mondadori), anche in relazione alle recenti tragedie umanitarie quali i naufragi di migranti nel mediterraneo (Naufraghi senza volto, 2018 Raffaello Cortina).
leted, CC BY-NC 2.0
Non è questa la sede per approfondire le competenze dell’antropologo forense ma se, quando vengono rinvenuti resti ossei privi di tessuti molli, questa figura non interviene assieme al medico legale, esiste il serio rischio che un crimine venga scambiato per incidente o morte naturale.
Ma non è detto che l’intervento congiunto del medico legale e dell’antropologo forense sia sufficiente. Esistono infatti casi nei quali le ossa non vengono minimamente danneggiate nel corso dell’omicidio. Può accadere che (statisticamente) i fendenti da pugnale o i colpi d’arma da fuoco trapassino e lacerino solo parti molli; in quel caso, se non vengono ritrovati gli abiti lacerati o il proiettile o l’arma, potrebbe risultare impossibile stabilire la causa di morte. Considerazioni analoghe valgono nel caso di soffocamenti o annegamenti molto “dolci”; in questi casi gli indizi della morte violenta sono presenti sui tessuti molli, ma sono indizi destinati a degradarsi e scomparire col tempo. Anche nel caso di una caduta da grandi altezza, che causi il decesso a seguito di un traumatismo generalizzato, potrebbe rivelarsi impossibile stabilire, dall’analisi dei soli resti ossei, se vi sia stata o meno un’eventuale colluttazione.
Per cui anche in questi casi, come per i suicidi o le scomparse non adeguatamente investigate, come per i decessi per i quali i medici (non legali) non si sono accorti dell’esistenza di un delitto, può accadere che un crimine scivoli fra le maglie della rete della giustizia, impunito perché mai neppure scoperto.
[Questo e molti altri argomenti simili sono approfonditi nel mio libro Delitti e castighi, Metodi di indagine e balistica raccontati da un ex poliziotto ad uso di scrittori e appassionati di cronaca nera, Dino Audino Editore, prefazione di Giancarlo De Cataldo. Lo trovi in libreria, su Amazon, ibs e gli altri internet book store]
Scrivere il genere è uno svelamento.
Di come funzionano (davvero) le indagini, di cosa accade (davvero) quando si usa un’arma da fuoco