Watchmen una distopia? Ma se è l’Italia!

Watchmen

Era il 1986 quando uscì a puntate Watchmen, graphic novel scritta da Alan Moore e illustrata da Dave Gibbons (Ma graphic novel va al maschile o al femminile? Ecco cosa dice l’Accademia della Crusca).
FumettoDue anni dopo Watchmen venne tradotto in Italiano. Poi, nel 2009, uscì il lungometraggio, (nella colonna sonora c’è 99 Luftballons di Nena, che spinge sul pedale della nostalgia), con la trama cambiata in un punto nodale che non svelerò. Alla regia c’era Zack Snyder, reduce del successo di 300, un’altra trasposizione da graphic novel (di Frank Miller in quel caso) che metteva in scena lo scontro fra Leonida e Serse alle Termopili.
Dopo il film di Watchmen seguì un silenzio lungo dieci anni, finché la HBO ha messo in onda una serie che racconta cosa accade nel mondo di Watchmen trentaquattro anni dopo gli eventi della graphic novel. Sì, perché la serie tv prosegue la storia della graphic novel e non del film.
Fin qui tutto bene.

Ma c’è un punto cruciale nella serie di Watchmen che vorrebbe stupire, inquietare, spingere lo spettatore a riflettere: (aspettate, qui c’è un piccolo spoiler, roba che si vede nella prima scena, che si capisce già alla prima puntata e poi viene detto espressamente alla seconda, niente di importante, però io vi avverto, piccolo spoiler in arrivo): i poliziotti sono mascherati.

Ma non sono mascherati perché devono commettere atti illegali, né per spaventare i criminali (o i cittadini) e neppure perché gli sembra un’idea figa; potrebbe essere, Watchmen è un mondo in cui i supereroi esistono davvero, se si mascherano loro si può mascherare anche la polizia.
CarabinieriInvece no! I poliziotti si coprono il viso per non essere riconosciuti ed evitare così le ritorsioni da parte di un gruppo criminale ben organizzato, violento, pieno di razzisti e suprematisti, insomma di gente inqualificabile oltre che pericolosa. E queste ritorsioni nel mondo di Watchmen non sono un’ipotesi ma rappresentano un rischio concreto e attuale.
Accidenti che distopia! Quest’idea dev’essere sembrata una cosa pazzesca agli autori della HBO, un mondo dove i poliziotti devono nascondersi perché qualcuno li va a cercare a casa e gli spara, poliziotti, vi rendete conto? Peccato che quel mondo esiste già, e si chiama Italia.

Smiler

Già. Avete mai notato che i poliziotti, e carabinieri, e finanzieri, che si occupano di criminalità organizzata indossano il passamontagna? Lo mettono perché fa figo? Per qualcuno di loro è di certo così. Io lavoravo con un collega che aveva questa mania: metteva il passamontagna in ogni occasione, anche senza motivo; un giorno, durante un arresto, un criminale gli disse: “Ma sei tu?”, e lo chiamò per nome. Cheffiguraddimmerda…

FalconeMa per il resto c’è ben poco da ridere. La criminalità organizzata nel nostro paese non fa ridere, e non è una distopia. Agisce in maniera preordinata per eliminare qualunque ostacolo si frapponga fra “lei” e i suoi obiettivi; ogni metodo è idoneo allo scopo, dalla disinformazione alla macchina del fango (“La cultura del sospetto non è l’anticamera della verità, è l’anticamera del khomeinismo”, ricordate chi l’ha detto di fronte al Consiglio Superiore della Magistratura?), dall’intimidazione all’eliminazione fisica. I magistrati sono figure che devono essere pubbliche, e la loro tutela passa per le scorte. Gli investigatori delle forze di polizia non hanno scorta, e nemmeno le loro famiglie, per cui l’unico modo in cui un membro delle forze dell’ordine può lavorare, in modo sereno, contro la criminalità organizzata, è l’anonimato.

Anonimato vuol dire nascondersi nel corso delle indagini, essere invisibili, raccogliere indizi ed elementi senza essere visto, pedinare senza essere individuato, intercettare da remoto, osservare e non essere osservato.
Anonimato vuol dire anche nascondere la propria identità negli atti e nei verbali, che a norma del codice di procedura penale richiedono l’identificazione di chi ha scritto il verbale. Quel verbale però diventerà “pubblico” nel processo e in questo modo gli indagati scopriranno l’identità di chi li ha fatti rinchiudere in DIAgalera. Ci sono metodi per aggirare questa previsione senza violare la legge, ci sono modi per rendere “identificabile” un agente senza scrivere per esteso il nome e cognome, ma la Procura della Repubblica dev’essere d’accordo, e i magistrati non sempre sono abbastanza sensibili al problema da adattarsi. Per mantenere un segreto serve che tutti gli anelli della catena rimangano impermeabili: gli uffici di polizia, della Procura, del Tribunale, e così via. Basta un solo dilettante in questa catena e il segreto viene svelato; e questi uffici sono pieni di dilettanti. Questori e Vicari di solito vengono promossi ai vertici degli uffici senza aver mai fatto un’indagine, senza aver mai arrestato qualcuno; il personale di procure e tribunali è più attento alla burocrazia che alla sicurezza; le prefetture sono enormi ammortizzatori sociali; e in generale, alla fine, nonostante troppe di queste persone passino gli aperitivi e le cena a racontare (millantare?) il loro contributo alla lotta al crimine, a ben pochi interessa di quei poveracci che rischiano davvero e in prima persona per svolgere le indagini. È facile prendere in giro il mio ex-collega che mette il passamontagna a sproposito, è solo un misero poliziotto, ci fa ridere, ci rassicura, ci fa sentire più bravi. Però lui i criminali li arresta e rischia in prima persona; quanti vicari e cancellieri e prefetti e procuratori ho visto invece ignorare la sicurezza dei poliziotti per noia, ignoranza, cattiveria e soprattutto incompetenza…

E infine, anonimato vuol dire che, durante arresti e perquisizioni, bisogna nascondere il proprio volto per proteggere la propria identità. Perché basta poco per risalire, da una descrizione fisica o da un ricordo, all’identità di un poliziotto, e da lì al suo ruolo, alla sua abitazione, alle sue vulnerabilità.

Quindi io continuo a guardarmi Watchmen, non sono neanche a metà, mi piace anche se ha difetti grossi come capezzoli di elefante; però questo aspetto “distopico” non mi piace per niente, e non perché sia poco credibile, anzi, al contrario, perché assomiglia troppo alla realtà del nostro paese.

Copertina Delitti e castighi[Questo e molti altri argomenti simili sono approfonditi nel mio libro Delitti e castighi, Metodi di indagine e balistica raccontati da un ex poliziotto ad uso di scrittori e appassionati di cronaca nera, Dino Audino Editore, prefazione di Giancarlo De Cataldo. Lo trovi in libreria, su Amazon, ibs e gli altri internet book store]

Scrivere il genere è uno svelamento.
Di come funzionano (davvero) le indagini, di cosa accade (davvero) quando si usa un’arma da fuoco