Càpita di svegliarsi male. A me è capitato oggi e quindi scrivo un post polemico, che non è poi così polemico, è solo abbastanza vero, o quantomeno verosimile, o forse no, ma comunque appena ho cominciato a scriverlo mi sono subito sentito più contento e quindi partiamo, elenchiamo un po’ le cose che ho sentito, o notato, dagli e negli scrittori emergenti, emersi, sommersi (e non salvati); e talvolta anche in scrittori affermati e (af)ferrati; la compilation delle irritazioni non cutanee più ricorrenti:
- Scrivo perché in libreria non trovo nulla che mi piaccia abbastanza. E quindi scrivo da me i libri che vorrei leggere (Ma sei serio? Ma in quali librerie vai? E poi, ma che schifezze leggi, scusa?)
- Ho scritto un libro necessario (Ecco, necessario, parliamone. Intanto è brutto, e non mi risulta che ci sia tutta questa necessità di altre cose brutte, in questo mondo…)
- Scrivo perché non posso farne a meno (Puoi puoi, fìdati)
- Scrivo perché mi piace l’odore della carta (Ti è andata bene, dai. Pensa che sfiga se ti fosse piaciuto l’odore di zolfo. Avresti dovuto fare il minatore…)
- La mia scrittura è esatta (Orbene, se la tua è esatta, quella degli altri cos’è, sbagliata? Attento che la mitomania è dietro l’angolo)
- Il mio sogno è vivere di scrittura (Posta l’oggettiva difficoltà, ma non impraticabilità, del piano, mi spieghi allora perché hai scritto un raffinato romanzo in cui l’unico protagonista è la lingua, intraducibile, che rieccheggia fra il madrigale e la poesia sanscrita, anziché un bel giallo ambientato a Riccione?)
- Titolo: “Cane”. Esergo: “Cane. s.m. Mammifero domestico della famiglia dei canidi” (Allora, il paratesto può essere un gran valore aggiunto, se ha senso. Però devi ragionarci un po’, non puoi copiare un autore che apre il suo romanzo con un esergo pazzesco, che fornisce mille interpretazioni all’opera nel suo insieme, buttando lì all’inizio del tuo scritto una definizione qualunque soltanto perché fa figo. Altrimenti sembri la casalinga di Voghera che mette la curcuma nel tiramisù, solo perché le piace il nome, curcuma. s.f. Genere di piante zingiberacee dell’Asia tropicale e dell’Australia)
- Ringrazio il mio editore perché mi ha pubblicato, e poi Marco, Pietro, Luisa, Gianni, Anna, Beatrice, Ludovica, Federico, Filippo, Chiara, Anna, Marco, Chiara, Gianni, Michele, Chiara, Anna, … (Bravo, ringrazia tutti, ma con pudore, senza cognome, perché se poi il libro fa schifo almeno non infetta anche i tuoi amici)
- Ho aperto un blog ma no, non sono in crisi di scrittura, voglio solo confrontarmi con i miei lettori, occuparmi di una letteratura più circostante, siamo nel terzo millennio rega, il digitale siamo noi (E allora perché scrivi solo ammiccanti articoletti di attualità, e considerazioni acchiappaclick di politica spicciola?)
- Sto scrivendo un nuovo romanzo ma i personaggi non sono gli stessi del primo. Io non faccio serialità, stiamo scherzando? (Giusto, fai bene, chi riutilizza gli stessi personaggi è uno scrittore di seconda categoria, come Philip Roth, José Saramago, J.D. Salinger…)
E infine, 10+1. Il protagonista del mio romanzo è un gommista di ventotto anni, che vive a Rozzano con la madre. Io sono un gommista di ventotto anni, e vivo a Rozzano con mia madre. Ma il protagonista del mio romanzo non sono io (Secondo te Gustave Flaubert ed Emma Bovary si assomigliavano? Ecco. Eppure Flaubert non era impazzito per affermare che “Madame Bovary, c’est moi!”, forse aveva solo più consapevolezza di quanta ne hai tu…)
Sono 10+1, bene, ho finito, e sono davvero più rilassato adesso, quasi come se mi fossi alzato bene. C’è solo un piccolo, piccolissimo dubbio che picchietta alla porta, non è che bussi, picchietta soltanto, bussa con delicatezza, diciamo, e recita più o meno così: ma io, di queste 10+1 cagate, quante ne avrò dette in vita mia? Accidenti. E quante ancora ne dirò?