Oggi, nell’indifferenza quasi generale, ricorre il trentennale dalla morte di Sandro Pertini. Solamente la sua Savona ha organizzato una serie di eventi degni di questo nome, mentre la politica attuale ben si guarda dal ricordare un tale esempio di uomo. E fa bene, perché il paragone con Pertini renderebbe ancora più ridicoli i politici attuali.
Nell’intera storia della Repubblica Italiana è davvero difficile trovare una persona con il carattere, la dignità, l’integrità, l’eroismo, di Sandro Pertini. Condannato sei volte, per comportamenti che a ben vedere tutto costituivano tranne delitto, evaso in due diverse occasioni, passò più di 14 anni fra carcere e confino. Quando sua madre chiese la grazia, pensando che il figlio Sandro, affetto da tubercolosi, stesse per morire, Pertini scrisse al Tribunale Speciale per chiedere che la richiesta non venisse considerata. Tribunale Speciale che era un obbrobrio del diritto, composto da militari e gerarchi fascisti i quali non esitavano a minacciare e incarcerare perfino gli avvocati difensori che si spendevano troppo per i loro assistiti.
I guai di Pertini erano iniziati con la sua chiara scesa in campo contro il fascismo; l’omicidio di Giacomo Matteotti l’aveva profondamente indignato, spingendolo a iscriversi al Partito Socialista. Quando morirà, il 24 febbraio 1990, mancavano circa due anni all’indagine Mani Pulite, che avrebbe di fatto azzerato per sempre il suo amato partito. Il quale, c’è da dire, non di rado metteva Pertini in minoranza nei congressi: la sua integrità e l’inimicizia per i compromessi lo portavano lontano dalla politica post bellica.
Pertini che venne eletto Presidente della Repubblica con la più grande maggioranza di voti mai espressa. E da Presidente fu accanto ai cittadini, ai giovani, ai lavoratori; intollerante verso la violenza brigatista, tanto da diventarne un possibile bersaglio, e lungimirante nel capire quale pericolo stessero diventando le mafie. La sua esultanza allo stadio Bernabeu è indimenticabile, “Non ci prendono più” gridò dopo il gol di Altobelli, e poi la cena con la Coppa del Mondo sul tavolo e il ritorno sull’aereo presidenziale con la partita a scopone più famosa della storia.
Pertini che era un combattente vero. Allo scoppio della Prima Guerra Mondiale partì come soldato semplice, rifiutando il grado da ufficiale che gli spettava per il titolo di studio. Obbligato a diventare un comandante, si dimostrò capace di illuminare i suoi uomini grazie all’esempio personale, una sua cifra personale per tutta la vita. Guadagnò perfino una medaglia d’argento al valor militare perché “durante tre giorni di violentissime azioni offensive, senza concedersi sosta alcuna, animato da elevatissimo senso del dovere, con superlativa audacia e sprezzo del pericolo, avanzava primo fra tutti verso le munitissime difese nemiche, vi trascinava i pochi suoi uomini e debellava una dietro l’altra le mitragliatrici avversarie numerosissime e protette in caverne”. La medaglia venne occultata dai fascisti, per non dover premiare con una onorificenza così importante un nemico tanto pericoloso. Venne rinvenuta solo quando Pertini era Presidente della Repubblica, ma lui si oppose al conferimento, dato il suo ruolo riteneva che sarebbe stata strumentalizzata, e se la fece consegnare solo dopo la fine del mandato.
A chi gli chiedeva perché avesse partecipato alla guerra, da socialista convinto, rispondeva che se in guerra dovevano andarci i figli di operai e di contadini, allora ci doveva andare anche lui. Poi scoppiò un’altra guerra e Pertini dimostrò un’altra volta la sua tempra, tanto da guadagnare una Medaglia d’oro al valor militare, per aver contribuito in tutta Italia a una lunga serie di azioni militari. Catturato e torturato, riuscì a fuggire da Regina Coeli. A Firenze, in quando gli americani si rifiutarono di entrare in città per la presenza di troppi cecchini fascisti, si occupò della bonifica dai franchi tiratori. E sempre a Firenze riuscì a dare alle stampe l’Avanti, usando un motore di camion per azionare le rotative. Poi a Genova, La Spezia, Torino, Milano. Passò perfino a piedi il Monte Bianco, per scendere in Val d’Aosta e organizzare la liberazione dalle truppe tedesche.
Di politici così, ma anche di uomini (o donne), ce n’erano pochi un tempo e oggi sempre meno. Pertini era sempre pronto (e lo fece da Presidente della Camera) a difendere il diritto di tutti a esprimere le proprie idee; di tutti coloro i quali, però, fossero pronti a porre la democrazia e non la barbarie a fondamento del reciproco confronto. Sono passati trent’anni ma le tante lezioni che Pertini ha impartito a questo paese non devono essere dimenticate, sebbene purtroppo pare troppo spesso che sia così.
I giovani non hanno bisogno di prediche, i giovani hanno bisogno, da parte degli anziani, di esempi di onestà, di coerenza e di altruismoSandro Pertini