Abbiamo visto cosa NON è la strategia, termine utilizzato troppo spesso a sproposito. Cerchiamo ora di costruire un ponte che colleghi questa disciplina misteriosa con la narrazione.
Un’opera, per essere narrativamente efficace, dovrebbe riuscire a pervadere e assorbire il fruitore (lettore o spettatore che sia), e portarlo “altrove”, secondo un vero e proprio “trasporto narrativo” (seguendo Richard Gerrig, Experiencing Narrative Worlds: On the Psychological Activities of Reading, Yale).
Infatti una narrazione che partisse da un messaggio esplicito, per poi proseguire nell’illustrare, spiegare, dimostrare quanto già esposto, assumerebbe la forma di un saggio, e va detto che oggigiorno perfino buona parte della saggistica ha abbandonato tale struttura.
L’autore quindi, se vuole ottenere efficacia narrativa, deve utilizzare opportune strategie. Il termine “strategia” è stato utilizzato da Umberto Eco (Lector in fabula, Bompiani), in relazione alle modalità con cui l’autore persegue il suo obiettivo, per indicare l’insieme delle scelte dell’autore modello. Questi infatti, immaginando specifiche competenze e credenze del lettore modello, mira a far compiere al lettore determinate operazioni cognitive, per indirizzarlo verso certe interpretazioni piuttosto che altre. Sempre secondo Eco (Sei passeggiate nei boschi narrativi, prima Bompiani ora La nave di Teseo), strategia sarebbe l’insieme di istruzioni che l’autore modello impartisce ai vari supposti lettori empirici, affinché si comportino come lettori modello.
Ma la parola “strategia”, come sempre, si presta anche in campo narrativo a notevoli variazioni interpretative, come dimostra la visione critica di David Mamet (drammaturgo e sceneggiatore, tra l’altro di Il postino suona sempre due volte, Il verdetto e Gli intoccabili, nonché critico violento su certi aspetti dell’industria cinematografica).
Mamet, citando addirittura Sun Tzu (I tre usi del coltello e Bambi contro Godzilla, entrambi editi da Minimum fax), dichiara espressamente che lo spettatore non può essere considerato un nemico, ma un compagno. La sua visione di “strategia” è intimamente legata alla guerra (l’autore cita la vicenda statunitense in Vietnam) e in particolare allo scontro frontale; lo spettatore è sentito non come avversario ma come oggetto di attenzioni. Lo stesso Mamet ammette che i principi del jujitsu possano essere applicati per “vincere” contro lo spettatore, dimostrando che la sua avversione non è rivolta verso il concetto strategico, bensì contro quello di scontro col lettore.
Il concetto di strategia in realtà individua come avversario non solo il nemico in battaglia, e neppure unicamente il portatore di interessi esplicitamente contrapposti, ma qualunque soggetto attivo e consapevole che possa agire in senso contrapposto. E quando un lettore o spettatore, per noia, mancanza di comprensione, diversità di gusto, o altro, stronca un’opera, senza alcun dubbio sta agendo “contro” l’autore.
Una volta accettato che i principi strategici possano essere applicati alla narrazione, prima di procedere all’impiego pratico dei relativi concetti, restano da superare due ulteriori obiezioni.
La prima è che l’autore non è consapevole di chi sia il fruitore; quindi, senza la conoscenza dell’avversario, che è elemento fondante del pensiero strategico (Sun Tzu), non potrebbe elaborare una strategia opportuna. Ma come abbiamo visto l’autore non produce per una persona reale e determinata, bensì per il “lettore implicito” di Iser o per il “lettore modello” di Eco, ed è quindi in grado di estrapolare, dalla nebbia dell’incertezza, un profilo dell’avversario gestibile dal punto di vista strategico. E tale procedura è lecita in quanto, se il patto narrativo viene costruito in maniera opportuna, il lettore reale dovrà tendere ad adattare la propria Weltanschauung a quella del lettore modello.
La seconda obiezione è che, anche conoscendo le caratteristiche del lettore modello, l’autore non sarebbe in grado di elaborare una vera strategia, nel senso sopra descritto, in quanto la fruizione dell’opera sarebbe un episodio singolo e mancherebbe pertanto della ricorsività propria dell’interazione strategica: l’autore effettua una mossa (scrivendo), il lettore risponde (apprezzando o stroncando), e il “gioco” finisce. In realtà le opere narrative dialogano con quelle delle epoche precedenti, in modo più o meno esplicito e diretto, secondo il fenomeno detto dell’intertestualità o transtestualità, nel quale la memoria gioca un ruolo fondante.
Quindi il “gioco” fra autore e lettore non si sviluppa in un breve arco di due semplici mosse (scrittura e risposta), ma si deve obbligatoriamente inserire in una partita di lungo periodo, che tenga conto del percorso di fruizione del lettore e dell’evoluzione dello stile narrativo, ovvero delle mosse già effettuate in precedenza dal sistema di autori che concorre nella creazione dell’autore modello, e delle risposte fornite dall’insieme dei lettori che concorre all’interno del lettore modello. Tale costruzione è giustificata (quantomeno culturalmente) dagli sviluppi dinamici della teoria dei giochi. Se infatti l’equilibrio di Nash teorizza i giochi le cui interazioni avvengono una sola volta, tra giocatori perfettamente razionali che conoscono tutti i dettagli del gioco, forme più complesse di gioco richiedono teorie più elaborate, come nel caso delle Strategie Evolutivamente Stabili (Maynard Smith, 1974), adottate dagli esseri viventi generazione dopo generazione, oppure nello studio dei giochi ripetuti, in cui l’iterazione delle partite spinge le parti a modificare la propria strategia in funzione di quella scelta dalla parte avversa, con il notevole risultato di far emerge una possibile cooperazione, riavvicinando lo scontro strategico alla visione cooperativa di Mamet.
Ciò porta a concludere che un autore, volendo affrontare il problema di imbastire un “combattimento” strategico verso il lettore, deve compiere due operazioni simultanee ma distinte:
1. la prima è idealizzare il lettore reale, tenendo conto del possibile bacino di utenza, delle sue credenze, gusti, etc, fino a formare un lettore modello;
2. la seconda è storicizzare tale lettore modello, in base a ciò che questi può aver fruito nel corso del recente passato ed anche nel corso della sua carriera.
Stabilito quindi che sussistono gli elementi teorici per l’applicazione dei principi strategici alla narrazione, si può traslare in campo narrativo quanto distillato dal sapere strategico.
Il quadro teorico vede quindi un autore che, per riuscire a trasmettere al lettore modello il suo messaggio in maniera efficace, deve superare una serie di ostacoli, sia relativi al contenuto (banalità, complessità…) che al destinatario (noia, distrazione…).
L’autore, per ottenere il suo scopo, può forzare tali ostacoli, ad esempio spettacolarizzando la narrazione. Una scelta di tale tipo non ha però contenuto strategico.
Se invece l’autore sceglie di ingaggiare un confronto strategico con il lettore modello, dovrà servirsi di una configurazione ben calibrata, di una progettualità estesa, nonché di congegni di dettaglio, al fine di sconfiggere un avversario ostico qual è il lettore modello.
L’utilizzo di stratagemmi invece è una sospensione del concetto strategico. Questo significa che, benché le traiettorie di un approccio puramente strategico e di uno basato sugli stratagemmi siano simili, la seconda lascia spazio ai metodi diretti (quali la spettacolarizzazione). Ciò spiega perché l’uso degli stratagemmi (aringhe rosse, MacGuffin, etc), che non deve comunque mai essere ripetitivo, vada calibrato per risultare efficace e non stopposo.
Tali brevi considerazioni devono però essere obbligatoriamente integrate da un elemento che l’autore è costretto a considerare, se vuole costruire un’opera narrativa che desti concreto interesse e persista nel lettore modello. Se infatti si ammette che la maggior parte delle emozioni, ansie e comportamenti siano degli enigmi in quanto risultati latenti e inconsapevoli dell’inconscio, è proprio l’inconscio del lettore che va mantenuto all’erta, per scongiurare i pericoli fallimentari della noia e della distrazione. Sovente, mentre la trama principale si occupa del conscio, le trame secondarie sono dedicate a questo compito non secondario (vedi: Ken Dancyger e Jeff Rush, Il cinema oltre le regole, BUR, fuori catalogo). L’interazione autore-lettore si sviluppa lungo due direttrici: quella verbale e quella affettiva. L’aspetto verbale guida la reazione e le impedisce di essere arbitraria, mentre quello affettivo porta a compimento l’obiettivo sotteso (Iser): quindi anche sul livello inconscio l’autore si trova ostacoli da superare e deve attuare delle strategie “speculari” a quelle del livello conscio, e l’efficacia del messaggio narrativo andrà valutata su entrambi i fronti del lettore modello.
E qui giungiamo alla fine del ponte, del piccolo ma ambizioso programma di trasportare alla narrazione i principi elaborati dal pensiero strategico. La strategia infatti, lungi dall’essere un contenitore vuoto da usare (impropriamente) al bisogno, è un insieme di concetti fluidi ma solidi, che anche un autore può utilizzare per il superamento degli ostacoli che giocoforza incontrerà nell’imbastire l’opera narrativa “contro” il lettore.
Se i mondi narrativi sono parassiti del mondo reale, che mettono fra parentesi la maggior parte delle cose e permettono di concentrarci su un sistema chiuso e limitato (Umberto Eco, Sei passeggiate nei boschi narrativi), allora l’autore dispone di un esercito di personaggi, da dispiegare in un teatro operativo che altri non è che quel mondo narrativo. Elabora piani (premesse, intrecci…), raccoglie gli strumenti logistici (dialoghi, descrizioni…), combatte battaglie con le opportune tattiche (conflitti, scontri…), utilizza mezzi e procedure (flashback, climax, rovesciamenti, ironia drammatica…), nonché stratagemmi (aringhe rosse, MacGuffin…), alla ricerca di una vittoria non contro i nemici dei personaggi ma contro i propri, ovvero i fruitori dell’opera.
Perciò, se la visibilità è la facoltà di pensare per immagini, che permette alla visione interiore di cristallizzarsi in una forma definita, memorabile, autosufficiente e icastica (Calvino, Lezioni americane, Mondadori), la strategia, che si nutre di geometria (come si direbbe abbia intuito Platone: “Non entri chi non conosce la geometria”), si può ritenere strumento principe del conscio e dell’inconscio, per il conscio e per l’inconscio.
Ponti aspira a collegare. Connessioni fra saperi e settori diversi che sembrano, sembravano forse soltanto, inconciliabili.