AAA BBB, CC BY-NC 2.0
Abbiamo già parlato dell’opportunità di inserire o meno, in una storia, marche e modelli delle armi da fuoco. In quel post avevo elencato i pro e i contro di entrambe le scelte, in modo che ogni autore potesse decidere secondo le esigenze della sua narrazione, ma ipotizziamo ora che la decisione sia stata presa: vogliamo indicarle. O perché vogliamo dare un senso di precisione alla storia, o magari si tratta di una produzione audiovisiva, e quindi non è sufficiente scrivere “pistola” o “fucile”: gli spettatori dovranno vedere che tipo di pistola o fucile utilizza il personaggio, e magari non vogliamo demandare questa scelta al regista, all’attrezzista o al tuttofare.
Quindi bisogna scegliere. Se, per un appassionato di armi, il momento della scelta può essere divertente, per chi non è abituato a frequentare poligoni e armerie la decisione può diventare frustrante, o peggio ancora scaturire in un fallimento.
Infatti un personaggio, per essere credibile, dev’essere costruito in modo organico in ogni dettaglio, e quindi anche l’arma che usa fa parte di quell’incastro di tasselli che concorre a creare un personaggio credibile. Se si sbaglia a scegliere otterremo, nel migliore dei casi, una scarsa credibilità; nel peggiore avremo perso un’occasione, quella di imprimere nella mente dello spettatore un marchio indelebile, come accade per i personaggi iconici.
L’ispettore Callaghan sarebbe ancora Dirty Harry senza il suo Revolver Smith & Wesson modello 29 in calibro 44 Magnum? Io non riesco a immaginarlo con una piccola Walther PPK.
James Bond sarebbe ancora lo stesso servitore di sua Maestà se impugnasse, al posto della sua Walther PPK in calibro 7.65, una 44 Magnum? (Tra l’altro nell’immagine di Bond qui non è riprodotta una PPK, bensì una Walther LP-53, che non è nemmeno un’arma: è una pistola a piombini, spuntata per caso mentre bisognava scattare alcune foto promozionali. È diventata un’arma iconografica di James Bond, riportata su molti manifesti e copertine, in quanto sembra, ma sembra soltanto, uno strumento da spia, quando invece è un giocattolo).
Mike Mozart, CC BY 2.0
Questi due esempi forniscono il primo metodo di scelta: copiare.
L’arte è imitazione, dicono. Imitazione della vita, ma anche imitazione dell’arte (altrui). E l’originalità è spesso sopravvalutata, se è vero che a ciclo continuo qualcuno, per fare l’originale, senza esserlo, dichiara che la vera originalità è smettere di cercare di essere originale.
Ma da chi si può copiare? Dalle opere di altri autori, ad esempio.
I personaggi che si movono nella Los Angeles di James Ellroy (libri editi in Italia da Bompiani, Mondadori, Einaudi, Minimu Fax e altri) impugnano spesso fucili a pompa di marca Ithaca; è stata arma d’ordinanza del LAPD dagli anni ’40 e fino agli anni ’90, ma dubito che in molti sappiano distinguerlo da un Remington 870 o da un Mossberg 590.
Perché l’arma che viene semplicemente “raccontata” in un libro, rischia di non dire nulla a chi non conosca già prima la forma di quell’arma. Ben diverso è per la rivoltella, il fucile di precisione, la mitragliatrice che ha sparato in un film, che è stata maneggiata, smontata, scaricata dal protagonista di una serie: quello che vediamo sullo schermo mostra in modo naturale il suo potenziale narrativo, e in un attimo potremmo decidere che proprio quell’arma è quella giusta per la nostra storia.
Benissimo, ipotizziamo allora di aver visto l’arma giusta per la nostra storia in una bellissima pellicola anni ’80 a tarda notte; come possiamo scoprire che tipo di arma è stata usata in quel film?
Quando vogliamo scoprire il nome di un’attrice o di un attore, dei quali abbiamo apprezzato, o meno, la performance, utilizziamo l’IMDb (Internet Movie Database, proprietà Amazon), che riporta tutti i dati di cui i cinefili solitamente vanno a caccia.
Allo steso modo l’IMFDb (Internet Movie Firearms Database) riporta marca e modello di (quasi) tutte le armi comparse in film, serie, anime e videogames.
Non solo; la ricerca può essere effettuata per film (o altra opera), ma anche per attore e, all’inverso, perfino per arma da fuoco, per scoprire chi e quando l’abbia usata sullo schermo.
Attenzione, perché la ricerca all’interno questo sito dev’essere solo un punto di partenza, da cui approfondire la conoscenza dell’arma prescelta, ricerca finalizzata a determinare se si tratta davvero dell’arma giusta per la nostra storia, o se invece è stata solo un abbaglio, sembrava un’amore a prima vista ma era solo infatuazione.
Un caso del genere si verifica speso, ad esempio, con la IMI Desert Eagle; una pistola che è finita parecchie volte fra le mani degli attori, grazie alle sue dimensioni imponenti, spesso accoppiate a finiture sgargianti del metallo, e a un design intrigante.
Si tratta di una pistola semiautomatica che pesa circa il doppio delle ingombranti armi d’ordinanza dei poliziotti in divisa, e per questo non è impiegata da nessuna forza armata o di polizia al mondo. Le sue dimensioni, e il suo sistema di funzionamento (a recupero di gas, tipico dei fucili d’assalto), le permettono però di utilizzare munizioni molto potenti, come la 44 Magnum e superiori, che di solito sono proprie dei revolver (che non hanno l’otturatore mobile).
Perché parlo di infatuazione? Perché in molti la incontrano sulla strada di narratori e decidono di farla usare al loro protagonista, o antagonista, sperando di donargli così un’aura di imbattibilità, potere, esotismo. Ma chiunque si intenda un poco di armi sa che la Desert Eagle è una pistola assolutamente inadatta al porto, e anche al rapido utilizzo. Arretrare il carrello, inserire o togliere la sicura, tenerla sollevata per puntare verso il bersaglio, sono tutte operazioni che con quest’arma costano fatica, al punto che alcune persone neppure riescono a usarla, nemmeno al poligono. Per verificare questo fatto, prendete una bottiglia d’acqua da 2 litri (piena), impugnatela con una mano, tenetela davanti a voi col braccio teso: quello è lo sforzo richiesto solo per puntare il bersaglio con una Desert Eagle, a quel punto bisogna sparare, gestire il rinculo e il rilevamento, muoversi, ricaricare, etc.
Nell’immagine qui sopra è riprodotta la Desert Eagle in calibro .50 Action Express utilizzata dall’Agente Smith in Matrix (Wachowskis, 1999). Il sito dell’IMFDb infatti, oltre a fungere da archivio di consultazione, suggerisce anche ciclicamente spunti di approfondimento, da cui partire per una ricerca o una navigazione libera, in cerca di ispirazione.
Giusto per curiosità, vanno ricordati anche l’Internet Movie Cars Database (IMCDb), in cui cercare auto, furgoni, motociclette e altri mezzi visti sullo schermo, e l’Internet Movie Plane Database (IMPDb) che si occupa di aerei, elicotteri e oggetti volanti in genere.
DVIDSHUB, CC BY 2.0
Bisogna prestare attenzione quando le armi sono utilizzate da (personaggi) appartenenti alle forze dell’ordine. Poliziotti e carabinieri non possono usare le pistole che vogliono, non siamo negli USA. Per i poliziotti italiani, in particolare, di qualunque grado, è penalmente vietato portare in servizio armi diverse da quelle di ordinanza (che sono: la Beretta 92FS per tutti; revolver e altre armi solo in casi eccezionali). Gli ufficiali (e solo loro) dei Carabinieri non hanno questo limite, e una volta andai a caccia di assassini con un Capitano che imbracciava un fucile a pompa, di sua proprietà.
Quindi è importante verificare che l’arma di un poliziotto, di un gendarme, di un investigatore privato, siano compatibili con la realtà.
Quando la nostra storia è ambientata nel passato, la questione si fa più seria. Che sia il far west o la Prima Guerra Mondiale, che si tratti di archibugi del periodo Sengoku (Tanegashima-teppō) o di mazzagatti del 1500, bisogna documentarsi a dovere, anche per capire quale sia la vera pericolosità e precisione di armi che venivano spesso utilizzate con logiche molto diverse dal presente.
Le piccole pistole ad avancarica, vietate già da Alfonso I d’Este, erano insidiose perché utilizzate durante il corpo a corpo.
Il fucile Carcano 91 (di cui abbiamo già parlato qui, anche in relazione all’omicidio Kennedy), possedeva un sistema di mira che arrivava fino a 2.000 metri. Con le munizioni e la meccanica del tempo, era una follia pensare di colpire un bersaglio a quella distanza. Basta considerare che, prima del 2002, nessuno era riuscito a colpire un bersaglio, in combattimento, con un fucile, a più di 1.500 metri. E allora perché quell’assurda tacca di mira del Carcano?
Perché al tempo si sparava con la tecnica del fuoco di sbarramento: a cadenza continua, per ore, giorni; ogni soldato sparava verso il nulla, ma tutti verso lo stesso nulla, per creare una zona di nessuno che quindi nessuno avrebbe potuto oltrepassare.
ForthSmithNPS, CC BY-SA 2.0
Pertanto, come in ogni aspetto della scrittura, che sia destinata alla carta o allo schermo, la parola d’ordine è documentarsi; perché al lettore, allo spettatore, non arriva solo quello che gli vorremmo trasmettere, come nello scontro letterario con un immaginario iceberg, il fruitore di un’opera percepisce anche il nostro sommerso, le radici della nostra conoscenza dell’argomento, la nostra credibilità, la nostra autorevolezza.
[Questo e molti altri argomenti simili sono approfonditi nel mio libro Delitti e castighi, Metodi di indagine e balistica raccontati da un ex poliziotto ad uso di scrittori e appassionati di cronaca nera, Dino Audino Editore, prefazione di Giancarlo De Cataldo. Lo trovi in libreria, su Amazon, ibs e gli altri internet book store]
Scrivere il genere è uno svelamento.
Di come funzionano (davvero) le indagini, di cosa accade (davvero) quando si usa un’arma da fuoco